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Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton

Torna a casa, Tim!

È da Alice in Wonderland (2010) che Tim Burton non ne azzecca una. Unica eccezione: Big Eyes (2014), film sottovalutatissimo che ha dimostrato come il Tim sapesse muoversi anche in territori a lui estranei.

E al primo che mi cita borioso Frankenweenie (2012), ruffianata di prim’ordine che manco la melassa ti fa salire così tanto il diabete, ricordo che è l’allungamento di un cortometraggio datato 1984. Non vale.
Insomma, il buon Tim ha vissuto gli ultimi quattordici anni di rendita, facendo leva sull’essere Tim Burton dietro alla macchina da presa, almeno nominalmente, ma senza guizzi né altri elementi che rendessero interessanti i suoi progetti – quanto meno non come prima del 2010, Planets of the Apes (2001) escluso.

Come prendere la notizia del sequel di un cult come Beetlejuice (1988)?

Io l’ho presa come quando i Def Leppard hanno pubblicato il loro album omonimo nel 2015.
Avete presente quelle band che fanno uscire un album omonimo a metà della loro carriera? Quando una band agisce così lo fa per due ragioni: dimostrare di non essersi persa nel percorso, riconfermando quanto di buono fatto fino a quel momento ma poi perduto (Def Leppard, appunto); definirsi come altro rispetto a quanto mostrato fino ad allora per dar vita a un nuovo corso (vedi Metallica del 1991).

Dove si situa il buon Tim? Nel primo gruppo, per fortuna.

BB è un legacy sequel in piega regola, abile a dare di gomitino-gomitino allo spettatore nostalgico ma intelligente abbastanza da incorporare nuovi elementi (Jenna Ortega, quella di Mercoledì) per un pubblico contemporaneo che il primo film manco lo conosceva fino alla notizia di questo sequel.
Così facendo Burton dimostra di essere prima di tutto un professionista poiché va col pilota automatico, non realizza nulla di eclatante (salvo il matrimonio finale, molto divertente), ma marcia con passo sicuro lungo una strada che lui stesso ha contribuito a costruire, trovando un miracoloso equilibrio coi vari fili narrativi che la storia presente.
Perché, rispetto al primo, vuoi anche per il budget, BB è un film assai più intricato e grosso rispetto al prototipo, con una trama lineare ma pluristratificata che impone a ogni personaggio (di numero maggiore) di trovare uno spazio che gli dia modo di esprimersi e di avere un peso narrativo rilevante nella storia.
Dunque si crea una vera e propria sarabanda di comprimari la cui presenza si incastra alla perfezione per arrivare all’ultimo atto. Qui sta il miracolo.
In questo, il labor limae degli sceneggiatori è evidente e il risultato finale è forse anche troppo calibrato rispetto agli sprazzi di anarchia del primo episodio. Ma va detto che qui Burton se la giocava su un terreno insidioso e non tutti nascono Ridley Scott, nel bene o nel male.
Burton si affida a una sceneggiatura solida, promuovendo Michael Keaton a protagonista già dai titoli di testa per indicare che sarà lui, Beetlejuice e la sua eredità, a guidare la barca. Gli altri si aggregano e aiutano ad approdare.
E si approda a un porto che regala un prodotto di certo non indimenticabile ma indubbiamente ben fatto e ruffiano al punto giusto da far scattare il sorriso anche nello spettatore ignaro del capostipite.
Perché alla fine, ciò che funziona maggiormente sono proprio i personaggi di contorno, a cominciare da Justin Theroux, sorta di Otho Fenlock elevato all’ennesima potenza, utili per dar modo a Burton di scagliarsi contro i ciarlatani del soprannaturale che, per assurdo, vanno a invalidare il lavoro di un regista che al mondo freak e fantasmatico ci crede parecchio e lo ha messo in scena, nella prima parte di carriera, con grande abilità.
Infine una nota di merito all’uso parsimonioso di Monica Bellucci la quale, essendo l’attuale compagna del regista, avrebbe potuto rivendicare più spazio ma che, intelligentemente, ha un ruolo secondario e funzionale legato quasi esclusivamente alla presenza scenica, salvando così le orecchie degli spettatori dalla dizione agghiacciante della medesima in sede di doppiaggio.

Grazie Tim, solo per questo il film vale la visione.

...segui Gianpietro.

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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