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Oppenheimer

Oppenheimer: per un elogio del contrasto

Il contrasto sta alla base di ogni narrazione. Non parlo di contrasti morali o ideologici, quelli, se presenti, sono successivi; parlo di contrasti narrativi, cioè di contrasti d’azione.
Lo standard e, se volete, per quel che può significare, le narrazioni standard prevedono un obiettivo da raggiungere da almeno due personaggi, di solito eroe e antagonista, i quali, nel muoversi, entrano in contrasto. Le varie sfide che incontrano per raggiungere l’obiettivo iniziale è la narrazione.
Questo, a grandissime linee, è l’abc della creazione di una storia.
Sebbene quanto sopra sembri molto scontato, e benché sia soggetto a centinaia di precisazioni, modifiche, rivisitazioni, aver semplificato cos’è una storia, o almeno: cosa dovrebbe essere, è utile per inquadrare Oppenheimer.

L’ultimo film di Nolan è un film didattico.

Suona strano considerandolo da fuori: tre ore di durata, continui dialoghi, pochissima azione concitata, mancanza esplosione bomba atomica. Eppure, nella sua apparente distanza da un film d’azione, di azione Oppenheimer ne ha molta. Semplicemente la camuffa, dimostrando, per contrasto, che Nolan, quando è in palla (cioè quando non dirige film come Tenet), è uno dei narratori più abili del nostro secolo. E in questo caso senza esplicitarlo, lasciando cioè che a comprenderlo sia la parte più recondita del nostro cervello, quella che ha assimilato il senso di una storia dopo anni di scuola e di ascolto di storie esterne a noi.
Già nella struttura il contrasto è fondante e fondamentale: bianco e nero per il presente vs colori per il passato. Uno stratagemma tanto semplice quanto immediato. Poi si va a fondo: il contrasto abbraccia Oppenheimer (personaggio) nella scelta di creare uno strumento per la distruzione del mondo per poi pentirsene vs Oppenheimer (film) che ribalta il gigantismo della vicenda storica focalizzandosi sul dettaglio della questione umana.

Il film è costellato di primissimi piani. I campi lunghi sono relegati alle poche (e magnifiche) sequenze del Trinity Test.

Nella parte centrale abbiamo la capacità affabulatoria di Nolan, che il film se l’è scritto da solo.
I dialoghi cadenzano il ritmo e il ritmo segue una tripartizione diegetica precisa (inizio/prosieguo/fine). Inizio e fine sembrano uscire da un film di Malick e nel mezzo si alternano le vicende personali di Oppenheimer (personaggio) con l’attesa e le aspettative del suo operato.

Il montaggio diventa dunque uno strumento di precisa destrutturazione narrativa che destrutturazione, in realtà, non è: Oppenheimer (film) è un meccanismo di tensione preciso al millimetro, nel quale nessun elemento è lasciato al caso.

Tanto la scelta dei due piani narrativi, e dei rispettivi colori, serve a costruire il binario della tensione da film processuale, quale in parte Oppenheimer è, quanto le domande personali che si pone il protagonista servono a mostrarci l’invenzione della bomba atomica da un punto di vista interno che permetta a noi spettatori di resettare ogni conoscenza pregressa, elevando al massimo la sospensione dell’incredulità così da esperire il susseguirsi degli eventi con l’ansia e l’attesa del protagonista stesso.
E la bravura di Nolan consiste principalmente nel non farci capire il lavoro alle spalle della realizzazione del film, camuffandolo sotto la tensione narrativa. Far apparire facili cose che, per molti, sarebbero difficili, se non impossibili.
Il che, per onestà intellettuale, non evita al film delle sbavature, soprattutto in un certo approccio a tratti iper-cervellotico che toglie spontaneità a situazioni quotidiane (vedi i dialoghi a Los Alamos). Ma sono sfumature da poco, smussate dalla performance di Cillian Murphy in grado di rendere la complessità di un personaggio come Oppenheimer col semplice cappello, senza alzare mai la voce, senza sbraitare conflitti e irrisolutezze.
Quindi, il miglior Nolan?

Personalmente no. Memento resta il miglior Nolan. Ma qui ci avviciniamo molto alla grandezza che è propria di questo autore.

Per fortuna.

...segui Gianpietro.

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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