Un ricordo giovanile
C’è una scena in 8mm che mi ha sempre suscitato una profonda empatia.
Tom Welles si reca da Janet Mathews, madre di Mary-Anne, per riconsegnarle il diario della figlia. La donna sta preparando la cena e, sapendo dell’arrivo dell’ospite, si presenta coi capelli in piega e vestita il più elegante possibile. La cucina è spoglia, la casa è fatiscente, i colori tendono al grigio e Janet Mathews indossa una gonna in jeans abbinata a un maglioncino verde. Fingendo di aver preparato più cibo del necessario la donna invita Tom a fermarsi e a farle compagnia. L’investigatore declina l’invito ma resta per un drink. Mentre lo sorseggia, le chiede se avrebbe preferito non sapere cosa era accaduto alla figlia, immaginandola felice, o conoscere la verità, anche laddove avesse significato affrontare il peggio. Janet Mathews risponde che vuole sapere.
È una scena di pochi minuti che serve a giustificare il finale, ma non ha un’immediatezza narrativa nello sviluppo degli eventi; è necessaria per creare il contesto, per fornire dettagli sul mondo in cui si muovono i personaggi. Per questo la trovo folgorante.
8mm è un film che ha i suoi punti di forza nei dettagli e nei contesti.
La discesa agli inferi del porno clandestino di Tom Welles è inserita in una cornice mortifera dalla prima all’ultima scena. Già dal rientro a casa del protagonista, dopo la sua presentazione, vediamo un contesto provinciale cupo, spoglio e dalle tinte anonime e spente. Se non bastasse, si aggiunge l’arrivo alla tenuta dei Christian attraverso un viale adornato da alberi tetri e scheletrici che inglobano l’auto di Tom, facendolo entrare in un mondo in cui saranno quelli gli stilemi con cui confrontarsi.
Per rendere al meglio questa impostazione, JOEL SCHUMACHER punta sulla costruzione di spazi il più consunti e squallidi possibile. L’ufficio della Celebrity Films di Eddie Poole a Hollywood, la studio di Dino Velvet e NY, il capanno in cui è girato il film con Mary-Anne, il magazzino in cui Tom incontra Macina, la casa di Macina/George, ogni ambiente è emanazione di laidume e depravazione, e i personaggi vi sono totalmente inseriti. Gli esterni sono rari e i pochi che vediamo rappresentano nulla più che elementi di raccordo in cui contestualizzare gli eventi. Il senso è conferire una chiave di lettura claustrofobica e opprimente in cui immergere tutto e tutti, e in cui schiacciare Tom.
Grazie a questo espediente, e coadiuvato da una grande colonna sonora dai ritmi tribali di MYCHAEL DANNA, la presa di coscienza dell’underground malsano in cui Tom è invischiato rilancia a un significato diverso delle azioni finali.
Per Joel Schumacher e Andrew Kevin Walker il mondo clandestino del porno non ha una reale ragione per essere malvagio. Semplicemente è così. Walker riprende il discorso morale imbastito nel finale di Se7en e pone il protagonista di fronte a un dilemma: scoperta la verità, come agire per non lasciare impuniti i criminali che hanno ammazzato Mary-Anne?
Nella telefonata a Janet Mathews, in cui Tom rivela quello che davvero è successo alla ragazza, torna il senso della scena dell’invito a cena: legittimare l’uccisione di Eddie e Macina, facendo sì che divenga una punizione e non una vendetta.
La questione, però, si ammanta di ambiguità in quanto Tom diventa egli stesso un assassino, al pari dei carnefici che punisce.
Qui sta la grandezza del film. Noi spettatori siamo chiamati a scegliere da che parte stare, sporcandoci le mani in ogni caso.
Prendiamo il finale: Tom ammazza Macina/George in un cimitero, sulle note inquietanti di Aphex Twin. Non è una scelta banale in quanto uno dei versi della canzone recita: “I will eat your soul”. Tom sacrifica la propria integrità per affrontare un male che non ha senso, che è banale e ineluttabile (“sono fatto così e basta”, grida Macina durante lo scontro) e che, sostanzialmente, sconfiggerà in parte. L’ultima battuta di dialogo è emblematica: “salvami”. Questa è la richiesta del protagonista alla moglie. Perché?
Perché la discesa in 8mm è stata troppo profonda per uscirne incolumi.
Sebbene la lettera di Janet Mathews chiuda il film conferendo una nota di speranza, è impossibile non dimenticare le parole del laido avvocato Longdale quando, del tutto serafico, risponde alla rabbia di Tom che chiede perché il sig. Christian avesse voluto un film snuff con un agghiacciante: “perché poteva, Wells. Lo voleva perché poteva.”
Sono molto affezionato a 8mm da quando lo vidi la prima volta nel 2002, all’età di 14 anni.
È un film pieno di difetti, con dei buchi di trama evidenti e con delle semplificazioni macroscopiche, soprattutto nel terzo atto. Eppure lo trovo così coerente e malsano nel mostrare le bassezze umane che ancora oggi, a tanti anni di distanza, mi colpisce e mi inquieta.
Nicolas Cage manifesta una certa fissità recitativa, ma il grido rivolto a Longdale sul perché sia stato girato il film, per me, vale il film. Per non parlare del personaggio di Dino Velvet, interpretato da un grande Peter Stormare. E, narrativamente parlando, lo trovo un esempio di thriller congegniato in modo impeccabile, con una colonna sonora che fornisce un collante del tutto particolare e ipnotico.
Non smetterò un momento di rivederlo sentendomi del tutto immerso nella discesa all’inferno di Tom. E come lui, ogni volta, non ne uscirò del tutto pulito.
...segui Gianpietro.
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