Primo Piano

Vermiglio

Quando omaggi Ermanno Olm… ah no!

Per un’ora ci ero cascato. Ho pensato: ecco un altro film che ha imparato la lezione di Ermanno Olmi ma non propone nulla di nuovo.

E invece Vermiglio mi ha fregato.

Ermanno Olmi c’è e parecchio: se si guarda Vermiglio a livello tecnico è impossibile non ritrovare la stessa attenzione nella messa in scena della quotidianità partendo dal basso, mettendo al centro gli ultimi, in un paesaggio provinciale e sperduto, con la natura sullo sfondo a farla da padrone mentre le esistenze dei personaggi scorrono senza essere apparentemente coinvolte in un intreccio drammatico, ma semplicemente filmate nella abitudinarietà.

Ma Vermiglio non è come appare.

Maura Delpero, qui alla seconda regia, si prende tutto il tempo necessario per mettere in scena la sua storia facendo assumere allo spettatore una posizione passiva che, però, è preparatoria a un dramma che esplode in tutta la sua implosione.
È un bel modo di dirigere un film e di far sobbalzare lo spettatore perché non se lo aspetta – parlo per me, quanto meno.
Per un’ora mi chiedevo dove il film stesse andando a parare. Certo, le caratterizzazioni erano puntuali e precise, restituendo uno spaccato del dopoguerra suggestivo, anche grazie a delle immagini costruite con indubbia perizia, soprattutto nell’uso delle luci naturali. Ma dove voleva parare la storia?
Poi arriva il secondo tempo e c’è un cambiamento: la macchina da presa, che sembrava registrare gli eventi, anziché metterli in scena, acquista un ritmo diverso, parte il montaggio alternato tra la gravidanza di Lucia e le conseguenze sulla famiglia/comunità montana, e poi arriva il dramma. Non urlato, non sbandierato, ma agito: Pietro, tornato in Sicilia, è stato ucciso. Era già sposato.
E quel che mi ha preso in contropiede è stato essere consapevole che in realtà l’ora precedente era servita esattamente a questo: rendere deflagrante uno snodo diegetico che sullo schermo si inserisce nel tono complessivo della pellicola.
Nessun cedimento melodrammatico, nessuna parola in più rispetto a un linguaggio quotidiano (reso con intelligenza attraverso il dialetto), nessuna lacrima (anzi: una, ma accennata). Solo immagini e un trafiletto di giornale a spiegare cosa davvero è successo – il pdv non si sposta mai dai personaggi del paese da cui prende nome il titolo.
Tutto ciò che avviene dopo la morte di Pietro diviene dunque fragile e greve, e tu che sei seduto in sala a guardare il film ti chiedi cosa possa esplodere, in che modo verrà gestito un dramma tanto banale quanto distruttivo. Le immagini scorrono come uno dei tanti ruscelli filmati nella prima ora e ti aspetti che arrivi l’inesorabile. Vedi Lucia partorire la piccola Antonia e ti chiedi se la terrà; vedi il “maestro” affrontare la gogna pubblica di una figlia rovinata e ti domandi se reggerà; vedi Lucia salire su una cascata e ti domandi se si butterà. Poi arriva lo snodo che non ti aspetti: Lucia reagisce, si presenta dalla vedova che ha assassinato l’uomo che le ha legate, non dice una parola. E ritorna a casa, abbraccia Antonia, accetta il destino che le è capitato e va avanti.
Tutto ciò con la famiglia che vive la sua vita, con la quotidianità che imperversa tra i personaggi per rendere la vita stessa inevitabile, e tu che sei in sala tiri un sospiro di sollievo perché le situazioni hanno preso una forma che non ti aspettavi ma che è servita a sciogliere una tensione che manco pensavi fosse stata creata con tanta perizia.
Non tutto è perfetto: la simbologia, soprattutto nel finale, è molto marcata e il film viene avvolto da un alone di “grazia elegiaca” dagli echi religiosi in maniera troppo esplicita.
Ma è un dettaglio che non può, e non deve, distogliere l’attenzione dal grande film che abbiamo di fronte e che è stato giustamente scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar. Rientrerà nella cinquina? Improbabile ma lo meriterebbe. Fosse altro per la prova di Tommaso Ragno, abile a rendere le difficoltà e i dubbi di un pater familias risoluto ma sensibile, un uomo tutto d’un pezzo ma capace di provare emozioni e sentimenti che lo allontanano dal resto dell’ambiente in cui vive.

Un gran film, direttamente proporzionale alla sua realizzazione in sottrazione.

...segui Gianpietro.

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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