Primo Piano

Conclave

Per un’inutile “estensione del dominio della lotta”

Forse sto invecchiando, forse sto diventando insofferente a molte (troppe?) cose, ma certi film non riesco proprio a capirli. Conclave è uno di questi.
Edward Berger è un regista di prim’ordine, nulla da obiettare, ma cosa ha voluto dire con questo film?
Che la Chiesa è marcia? Che è un agglomerato di loschi sotterfugi per detenere il potere? Che servirebbe una rifondazione messianica politicamente corretta sorretta da strepiti progressisti di facile accatto?
Vedere Ralph Fiennes è sempre un piacere, come potrebbe essere diversamente? La sua interpretazione del cardinale Lawrence è impeccabile, dolente, sofferta e profonda. Tutto perfetto.

Ma la competenza attoriale di Fiennes è messa al servizio di cosa, esattamente? Mi spiace, ma io non l’ho capito.

Non l’ho capito perché Conclave è un film di un qualunquismo e di un’approssimazione disarmanti.
Si parla di Chiesa, nel senso più profondo di “istituzione”, con una banalità che lascia basiti.
Cos’è la Chiesa cristiano-cattolica? Cosa comporta l’elezione di un papa?
Per rispondere a queste domande, o almeno per provarci, occorrerebbe avere una preparazione universitaria fosse altro per avere chiaro l’iter d’elezione di un papa. Ma al di là dei tecnicismi, la materia è talmente profonda e sfaccettata che solo chi la vive dal di dentro, anche in vesti laiche, può avere un’idea della complessità che gravita attorno a un organismo che, volenti o nolenti, esiste da due millenni e che ha fondato parte (non tutta) della Cultura occidentale.
Il problema di questo film è che si tratta con superficialità qualcosa di stratificato. Per definizione, la complessità prevede più “pieghe”, più strati, dunque soffermarsi al primo livello di decodificazione è riduttivo e approssimativo.
Non sono particolarmente legato alla religione, men che meno in senso metafisico, ma nemmeno viaggio sui binari della delegittimazione spirituale, soprattutto quando si parla di un ente che rappresenta oltre due miliardi di persone nel mondo.
Berger, invece, parla dell’importanza del “dubbio” dall’inizio alla fine della pellicola ma poi mette in scena una specie di thriller pieno di certezze sulla decadenza morale della Chiesa e dei suoi rappresentanti (sai che novità!), proponendo come unica soluzione l’elezione di un papa intersessuale (scelta ai limiti del surreale, per usare un eufemismo) per dare un colpo al cerchio (salvare l’istituzione-chiesa come tale) e uno alla botte (rinnovare l’istituzione-chiesa in chiave inclusiva).
Sono rimasto basito dal terzo atto del film: esplosioni in Cappella Sistina; compravendita di voti (si parla di simonia manco fossimo nel XIV sec d.C.); lettere segrete nascoste nelle spalliere dei letti; cardinali che hanno avuto figli fuori dal voto di celibato; pseudo-suore-detective che risolvono gli snodi narrativi manco fossero deus ex machina del teatro greco.

Insomma, Berger punta su un simbolismo tanto esplicito quanto pacchiano e a uscirne a pezzi, purtroppo, è il film stesso, che soccombe sotto il peso di tanta sicurezza manichea.

È il cortocircuito tra ciò che viene detto e ciò che viene mostrato a lasciare interdetti. Un po’ come se andaste al ristorante e chiedeste al cliente di preparare il pasteggiamento.
Se un tema profondo e problematico è trattato da persone inesperte, il risultato sarà sempre e solo la polemica da bar dagli echi complottistici.
In Conclave c’è pure l’aggravante dell’insopportabile patina di correttezza morale, e poi pratica, rappresentata, come ho detto, da una rivelazione finale che si pone come illuminata avanguardia ma che risulta mero sensazionalismo fine a se stesso.
Quando alla fine scopriamo che il cardinale Benitez ha una doppia (o dubbia?) sessualità, cosa dovremmo pensare? A un plot twist ben congeniato solo perché, tra le righe, si suggerisce che l’unica ancora di salvezza della Chiesa è ribaltare duemila anni di riti e regole? Ma siamo seri?
Una regola prima di tutto va rispettata, poi, al massimo, può essere modificata. E se non ti va né la prima né la seconda opzione, scardinare del tutto la regola non risolve il (presunto) problema dato, appunto, dalla regola stessa. Se non ti sta bene, nessuno ti obbliga a essere un fedele, ma se decidi di giocare in quel campionato le regole d’ingaggio sono chiare sin da subito e quelle devi accettare. Solo dopo, forse, puoi cambiarle ma guardando la complessità nel suo insieme, non focalizzandoti su un aspetto particolare.
Risulta quindi squisito il cardinale Tedesco, interpretato con meravigliosa perfidia da Sergio Castellitto, il quale, nel suo cieco integralismo, poiché figura caricaturale e negativa, alla fine pare l’unico personaggio coerente e credibile in quanto suggerisce ciò che un’istituzione come la Chiesa dovrebbe rappresentare e non ciò che certa sensibilità progressista-della-domenica vorrebbe diventasse: un simbolo che garantisca la certezza del dubbio, non che metta in dubbio ogni certezza.
...segui Gianpietro.

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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