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OcchioPinocchio

In ricordo di Francesco Nuti (1955-2023)

Spesso si parla delle cadute di un artista per poi sottolinearne la capacità di reagire.
Spesso si parla di un artista caduto e rialzatosi coi toni enfatici della vittoria contro le avversità.
Spesso si mitizza una persona capace di donarsi alla collettività, dimenticando che, prima di essere un artista, una persona è un essere umano, con tutte le fragilità del caso.
Spesso ci si commuove di fronte alla dipartita di chi è caduto e si è rimesso in piedi, in una sorta di strano principio transitivo tale per cui più è grande la commozione urlata per la scomparsa maggiore è la capacità di assorbire una qualche forza resiliente per se stessi.
Francesco Nuti non ha avuto nulla di tutto questo.
Francesco Nuti è morto lo stesso di Silvio Berlusconi, venendo relegato a trafiletto sui giornali, dopo che la vita non gli aveva concesso la possibilità di (ri)dimostrare la mondo chi era e cosa poteva fare.
L’alcolismo di fine anni ’90, la separazione dalla moglie e, proprio quando la situazione personale sembrava essersi assestata dopo aver ricomposto i cocci di se stesso, l’incidente del 2006 che lo obbligò all’invalidità fino al momento della dipartita.
E tutto questo a seguito di un evento capace di segnare la vita di Nuti senza possibilità di ritorno: l’uscita nel 1994 di OcchioPinocchio.

 

Per Nuti quel film era il corrispettivo di Fitzcarraldo di Herzog. Complice una libertà artistica pressoché illimitata a seguito dei successi degli anni ’80-’90, Nuti si mette al lavoro sul progetto della vita: rileggere il mito di Pinocchio (archetipo di una certa idea di cultura italiana all’estero) attraverso gli schemi narrativi hollywoodiani.
Le riprese passano subito alle cronache per sforamenti di budget, ritardi del girato (il film esce un anno dopo la data prevista), conflitti tra Nuti e Cecchi Gori, lamentele a sfondo sessuali di Chiara Caselli e sprechi vari.
I costi lievitano raggiungendo la cifra (allora) astronomica di 30 miliardi di lire, di cui due messi da Nuti stesso pur di completare il film. Il film esce a Natale 1994. L’incasso complessivo sarà di 4 miliardi. Il disastro è totale.

Spesso si guarda con un occhio retrospettivo e indulgente ai grandi progetti naufragati. Per OcchioPinocchio questo approccio ha poco senso perché, di base, è un film fatto male.

Tutte le problematiche della produzione si vedono e si sentono: la Caselli è sempre mezza nuda senza nessun motivo; i movimenti di macchina sono esasperati ed esasperanti, senza nessun reale senso narrativo ma solo con l’intenzione di mostrare che c’erano dei soldi per realizzarli; i buchi di trama sono presenti ogni dieci minuti; e Nuti, che della parola aveva fatto un proprio cavallo di battaglia, tace per quasi tutto il film, lanciandosi con noncuranza in un’interpretazione del tutto inadeguata.

OcchioPinocchio è tecnicamente parlando un fallimento, sotto ogni punto di vista.

E non bisogna avere paura di dirlo a voce alta, ora che Nuti se n’è andato. Perché, per quanto strano, questo fallimento irrisolto è una grande lezione lasciataci dall’autore toscano.
Nuti non riesce a gestire il fallimento del film che doveva elevarlo ad autore internazionale e in questo dimostra una debolezza personale in cui tutti possono cadere: l’hybris.
Francesco Nuti sogna in grande, forte della propria gavetta, della propria fama e non comprende che più ci si eleva più la caduta è fragorosa. Il sentimento prevale sul ragionamento. Il pathos prende il sopravvento e diventa hybris, condannando il nostro a subire una punizione auto-inflitta troppo dura da sopportare.
Questo però non deve spaventarci, anzi: nel suo fallimento Nuti ci insegna la fragilità delle nostre azioni, la caducità delle nostre certezze e il dolore del silenzio successivo al successo, quando nessuno desidera condividere più nulla con te e ti convinci che nemmeno tu meriti di condividere qualcosa con te stesso.
Se n’è andato un grande artista, vittima della propria grandezza che, per spietata ironia della sorte, ha ombreggiato la sua persona anche nel giorno della dipartita.

Francesco Nuti è morto. Evviva Francesco Nuti.

...segui Gianpietro.

Un giugno di fumo

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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