Santo bevitore

Se non è il vino dell’enologo…

Premessa: il mondo del vino sta vivendo una fase di trasformazione radicale, che verosimilmente la pubblicistica si dovrebbe occupare di raccontare in maniera più accurata. La grande confusione che si sta ingenerando sui vini cosiddetti ‘naturali’, che molto spesso, non essendo soggetti a disciplinare, vengono utilizzati strumentalmente come leva di marketing, sta inghiottendo anche le cantine che producono vini biologici o biodinamici certificati, o per assurdo anche le cantine che fanno produzione tradizionale, le quali in alcuni casi mettono in bottiglia prodotti più ‘onesti’ intellettualmente di quelli ‘verdi’. Il tutto in un’ottica in cui la direzione di sostenibilità della produzione che si sta prendendo, sia a livello europeo che italiano, in continua crescita, rischia, come criteri di scelta, di fare prevalere il vino ‘fatto sostenibilmente’ a quello ‘buono e fatto correttamente’. L’obiettivo della rubrica è quello di ritornare a una radice emozionale del vino che, sorretta da profonde basi tecniche, possa sgombrare il cervello di tante sovrastrutture e fare tornare a un assaggio avveduto e consapevole.

…è il vino del distributore?

Il dibattito è tuttora spinoso dato che fu lo stesso Corrado Dottori, al cui testo ‘sacro’ del 2012 faccio riferimento, a infilare il dito nella piaga già un paio di anni fa, condividendo un post su Facebook in cui attaccava quella che riteneva essere diventata una moda, ovverosia il vino naturale (lo so, la definizione è tuttora scivolosa, ma è per intendersi). 
Prendi dell’uva bianca e raccoglila prematura” scriveva il buon Corrado, “così da avere un pH basso (così puoi anche non aggiungere solforosa). Prendi dell’uva rossa e raccoglila presto, poco importa la maturazione del vinacciolo, tanto farai una macerazione carbonica con il grappolo intero, con poca estrazione di tannini (…) Di uva ne trovi parecchia in giro, non c’è bisogno che la coltivi. Che impari a potare una vigna. Scegli un qualche anziano che conferisce alla cantina sociale e gli compri al doppio del prezzo di mercato qualche quintale d’uva. In alternativa, se proprio vuoi fare degli investimenti, allora trova un paio di consulenti in biodinamica, ce n’è parecchi oramai in circolazione. In attesa della cantina puoi vinificare in conto terzi da qualcuno bravo, te lo trovo io. L’importante è che fai i vini come voglio io. (firmato) Il tuo distributore
Corrado Dottori de La Distesa
Ci siamo di nuovo, verrebbe da dire… “Come la barrique degli anni Novanta, come i surmaturi degli anni Duemila“, il dibattito sul vino naturale è, ribadisco, uno dei più stringenti del mondo vitivinicolo contemporaneo dato che se le parole che scrive Dottori erano condivisibili nel 2012, ora lo sono, se possibile, ancora di più, dato che vengono confermate, ancora più fortemente, da centinaia, forse migliaia di assaggi, tutti omogeneamente imperfetti.

Di base credo sia necessario smarcarsi dall’equivoco iniziale, l’assunto deleterio che il vino ‘naturale’ sia ‘tutto buono’.

Non è mai stato vero, adesso è addirittura un paradosso.

Di base il vino è un prodotto intossicante, checché se ne dica. Il fatto è che al giorno d’oggi è più facile trovare maggiore onestà intellettuale, oltre ad un minore assoggettamento alle logiche di mercato, in alcuni vini tradizionali che in molti vini naturali, in cui sembra che si sia sdoganato il concetto di ‘difettoso, ovvero prodotto con maggiore onestà’.

Il che è assurdo, soprattutto pensando al punto di partenza. Il fatto è che se si associa a un prodotto già intossicante di suo ossidazioni, riduzioni, incoerente presenza di fecce o impurità, si va ovviamente incontro al disastro anche senza l’aggiunta di solforosa, che anzi a quel punto sarebbe l’unica salvezza possibile.

Di base credo che le letture vadano scardinate da quelle che, sicuramente nate sotto auspici favorevoli, ora sono né più né meno che leve di marketing, claim aziendali (o, appunto, del distributore) che spesso, nella loro vacuità, permettono a produttori tecnicamente non sufficientemente preparati, di cavalcare l’onda del ‘verde’ e di presentare bottiglie decisamente malfatte come ‘sane’, risucchiando in questo gorgo di difetti (cosa che il buon Corrado Dottori ben sa) chi del vino ‘sostenibile’ ha fatto oltre che una scelta di vita un raffinatissimo esercizio estetico in bottiglia.

Quindi non si può, oggi ancora meno che in passato, prescindere dal fatto che chiunque produca e venda vino immette sul mercato un prodotto alimentare, soggetto come tutti gli altri a deterioramento. Quello che a mio avviso sarebbe corretto fare sarebbe ri-spostare il focus sul gusto. Attenzione, con questo non dico niente di stereotipato, anzi, vado molto sullo specifico. Costruire il gusto, costruirsi il gusto, significa soprattutto informarsi.
Quello che si immette nel ciclo biologico del proprio corpo deve essere conosciuto e, magari senza indulgere in eccessi od ossessioni, deve essere un prodotto gastronomico che va a stimolare un’esperienza (a proposito) estetica, non l’appagamento di un bisogno fisiologico o, peggio, commerciale.

Insomma, bere informati.

E non farsi prendere per il naso da spacciatori di formule standardizzate da cui il vino, come la storia ci insegna, è troppo vasto, ampio e saggio per farsi ingabbiare.

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Riccardo Corazza
Nasce a Bologna nel 1973. Lavorativamente si divide tra la consulenza aziendale e il giornalismo e la comunicazione enogastronomica, complice un lustro trascorso a Praga nella formazione in ambito HORECA per ristoranti e grossi brand internazionali. Ha collaborato con quotidiani, tra cui il Corriere della Sera, riviste, tra cui Forbes Italia e Sport Week, guide, tra cui la Guida ai Sapori e Piaceri de La Repubblica, I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia, le Guide del Gambero Rosso e portali, tra cui Gardininotes.com. Ha lavorato in una radio rock e pubblicato 5 libri che con la ristorazione non c'entrano niente, in osservanza del vecchio adagio che è sempre opportuno confondere un po’ le acque.

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